Volume 9 (2003) No. 1
Francesca Chiarelli
Before and After: Ottavio Rinuccinis Mascherate and Their Relationship to the Operatic Libretto
Appendix 4
Rinuccini Texts
1. MASCHERE DI BERGIERE (STANZAS IN OTTAVA RIMA )
Serenissima Donna, il cui gran nome
di mille fregi adorno alto risuona,
de la cui regia man, de le cui chiome
degno ’l mondo non ha scettro o corona,
stanche et oppresse omai da laspre some
5
de ’l furibondo Marte e di Bellona,
vaghe di pace e più tranquilla sede
moviam, donzelle peregrine, il piede.
Là ve ’l Rodan alter con rapid onde
porta superbo ampio tributo al mare,
10
lasciati i dolci alberghi e le feconde
piagge, mentra ’l ciel piacque amate e care,
qui de ’l bell Arno a le famose sponde
scorte nha ’l sol de le tue luci chiare,
a ’l cui vago sereno, a ’l cui splendore
15
speme anco abbiam di serenare il core.
Poi che partiste voi, quel regno tutto
sembra che dira e di furore avvampi;
ogni piaggia, ogni colle arso e distrutto,
par che di sangue sol si segni e stampi;
20
de le gravi fatiche indarno il frutto
speriam, misere noi, da còlti campi,
vedendo ognor da linimiche spade
tronche cader le desiate biade.
Spesso dorrida tromba a ’l suon nemico
25
destasi il vecchierel canuto e bianco,
e sospirando per lalbergo antico
i pargoletti suoi si stringe a ’l fianco:
indi a ’l ciel vòlto: “O glorioso Enrico”,
dice, già mosso il piè languido e stanco,
30
“quando sarà che tua virtù rimeni
dopo tante tempeste i dì sereni?
Quando vedrem su lonorata fronte
splender lantico onor de gigli doro?
quando, ahi! quando securo a ’l bosco, a ’l monte
35
trarran le pastorelle il gregge loro?”
Sì fatto de le luci amaro fonte
sfoga ne ’l duro esilio il gran martoro,
né per men doglia verginelle e spose
bagnan de ’l volto le vermiglie rose.
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Or sin questa per voi tranquilla parte,
donna real, tua cortesia naccoglie,
qui dove regna Amor, qui dove Marte
placido il ferro suo da ’l fianco scioglie,
quasi a tempio divin vedrai recarte,
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dincenso in vece e di votive spoglie,
lode e gloria immortal da noi donzelle
che forse un dì sormonterà le stelle.
E voi, gentili amanti, ah! non abbiate
di rustica beltà lamore a sdegno:
50
tra bassezze talor, tra povertate
sembiante è ben ch anco damarsi è degno;
vesti per gran lavor ricche e pregiate,
gemma che di valor passi ogni segno,
gloria dantico sangue, armi e splendori
55
esser già non devrian fiamme de cuori.
Damor degna e damante è la bellezza
e la pietà ch alberga in cor gentile;
folle chi, per seguir pompe e grandezza,
sdegna di povertà bellezza umìle;
60
beltà, che di se stessa adorna, sprezza
fregio daltronde et ha le gemme a vile,
vera beltà, che semplicetta e pura
ornò di propria man lalma Natura.
Quinci per rimirarne intento e fiso
65
scorger già non potrete, amanti accorti,
di mentito color dipinto il viso
né falsi crini a ’l crin nativo intorti;
qui non false lusinghe o finto riso
fia che gioia vannunzi e duol vapporti:
70
de le cittadi usar larte e linganno
le fanciulle de boschi ancor non sanno.
Candido ’l viso abbiam, candido ’l core,
e in bel candido sen candida fede,
né riso o sguardo mai mostrò di fuore 75
contrario affetto a quel che ne ’l cor siede;
appo noi vile è loro, amor damore
è degno premio sol, degna mercede:
felicissimo amor, contento e pago
damor, non doro e non dargento vago.
80
Empie e false lusinghe e mai non vere
parolette, e sospir mentiti e pianti,
insidie, inganni, alme crudeli e fere
sotto finti damor dolci sembianti,
ingordo affetto e sol desio davere,
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voglie e pensier volubili e incostanti,
amar chi ti portodio, odiar chi tama
ne le città superbe amor si chiama.
2. MASCHERATA DEGLI ACCECATI (STANZAS IN ENDACASILLABI AND SETTENARI)
Poscia chognaltro schermo
fu vano a ’l folgorar de rai possenti,
per risanare il cor damore infermo,
donne, questocchi abbiam di luce spenti;
e ben fu di ragion alto consiglio
per allumar il cor far cieco il ciglio.
Per noi sincrespa in vano
dorata chioma, o si fa dostro il viso;
e in van di bel candor leggiadra mano,
e di perle e rubin fa mostra il riso;
serrato è ’l varco, onde ne cor mortali
discendevan dAmor gli accesi strali.
Qual di superbe mura
sprezza cinto guerrier nemica forza,
da gli assalti dAmor lieta e sicura
lalma si sta ne laccecata scorza;
e tolto ’l fren, cha duo beglocchi diede,
tranquilla regna ne lantica sede.
Se di disdegno e dira
fulminan duo beglocchi armato Amore,
o se tutto pietate un guardo spira,
nova non giunge a ’l cor gioia o dolore;
misero ’l cor, che n mille dubbi involto
cangia suo stato a ’l variar dun volto.
Dun volto il cui sereno
instabil più che fronda ovEuro spiri,
or di dolcezza, or di minacce pieno
mesce a ’l falso piacer certi martiri;
e tra speme e timor, tempesta e calma,
ne ’l pelago dAmor combatte unalma.
RISPOSTA DE LE GENTILI DONNE A LI ACCECATI.
Trapassar sospirando
doveva, o ciechi amanti, il viver vostro.
Una volta sperando
veder cangiato il crudo pensier nostro,
perché repulse e sdegni
son dAmor tra gli amanti amati segni.
In van sadorna il prato, in van risplende
per voi caro monile;
per voi da Batto a Tile
indarno spiega i suoi bei raggi il sole;
Ahi, se di voi pur non nincresce e duole,
ciechi, dolgavi almeno
lasciar piagato a belle donne il seno.
Or in fiamma, or in ghiaccio
gli incauti amanti hai per noi vòlto, Amore!
Ma per non sciorti da ’l mortale impaccio,
le finestre de ’l core
giammai chiudesti; e pur vedi costoro
ciechi schernire ogni tuo bel tesoro.
Vendetta, Amor, vendetta!
Struggi il nemico gelo
doppiando il foco al core, a gli occhi il velo:
Che quanto li diletta
lorror, tanto li annoi
come ribelli e non più servi tuoi.
3. MASCHERATA DI NINFE DI SENNA (LIBRETTO-TYPE TEXT)
[Parte I]
NETTUNO
Sparso dumide perle, il crin stillante
scoprite a ’l cielo, o Dive, e i sen nevosi;
sorgete, Numi, e voi de ’l mar sonante
le caverne lasciate e glantri algosi.
De ’l gran padre Ocean glimperi e i detti
udite, o Numi, ad obbedire intenti;
Onde tacete, e da gonfiati petti
non esca oggi un sospir, superbi Venti.
Linclita Ninfa, a ’l cui bel crin corona
tesse di gigli e dauro ampio tesoro,
cui non inchina pur Rodano e Sona,
ma il Nilo, il Gange ed ei che letto ha doro,
Senna real, che di trofei le sponde
ricca se n va più che di frondi o derba,
oggi di questo mar fenderà londe
su rote di zaffir bella e superba.
Scorgela bel desio chin sen le nacque
di mirar queste piagge e questo cielo,
dove a lalto Motor ne lalto piacque
angel mandar tra noi sottuman velo.
Ben può tal dirsi lei, cha Franchi il freno
tempra, regina eccelsa, e ’l mondo indora,
che i pargoletti lumi al dì sereno
aperse tra le fasce in grembo a Flora.
La regia cuna, ove a laltera infante
i sonni lusingar le Muse stesse,
baciar desira, e il suol che di sue piante
serba felice le primorme impresse.
Mentre a ’l caro desio trascorre intenta
Senna lumide vie de ’l regno ondoso,
di vostre voci un suon sì nobil senta
che le sembri il camin dolce riposo.
NETTUNO
O chiara, o nobil figlia,
splendor de regi fiumi,
deh! come lieto i lumi
fermo ne ’l gran sembiante e ne le ciglia.
Mira de lOcean lampia famiglia,
odi lapplauso e ’l grido
che ’l mar rimbomba e ’l lido,
mira londa e larena
a ’l tuo lieto apparir rider serena.
SENNA
A te, gran Re de londe,
umil minchino, e poi
de ’l nobil Arno a le famose sponde
me n vado a riverir glEtruschi eroi.
NETTUNO
Sa miei desir non vuoi negar mercede,
guiderò i passi tuoi,
scorta non vil, fin che là posi il piede
ove il gran Re di Flora
lieto dimora in gloriosa sede.
SENNA
Troppo, o gran Re, monori,
né il merto mio cotanto in alto arriva
che fuor de ’l regno tuo per me dimori.
NETTUNO
Sì chiare, o nobil Diva,
son le tue glorie e i pregi,
mercé de tuoi gran regi,
che di lauro e doliva
son vili a ’l tuo bel crin ghirlande e fregi:
ed io, che sovra londe ho scettro e regno,
a te matterro, e dubbidir non sdegno.
SENNA
Non fia cha ’l Re de londe
serva devota imperi.
Ma chi su queste sponde
alzò glargini alteri,
chi di sì forti mura
fe la città sicura?
e chi cotanti armò legni guerrieri?
NETTUNO
Magnanimi pensieri,
pregi de ’l gran Fernando,
deterno onor, deterna gloria alteri
son questi che rimiri:
né indarno, Senna, le grand opre ammiri.
SENNA
O sol de grandi eroi,
meraviglia non è salto rimbomba
con risonante tromba
fama immortal di Ferdinando il nome,
e sa ’l canoro grido
lempio Oriente infido
sparge di gelo il cor, dorror le chiome.
NETTUNO
Se pave lOriente
certo non pave indarno.
Sì spesso rimirò ne ’l cor dolente
ne suoi campi ondeggiar linsegne dArno.
E depredati i regni
da gloriosi legni.
SENNA
Ben fûro a noi palesi
gli eccelsi allori e le sì chiare palme,
e le più nobilalme
punger di bella invidia e i cor franzesi:
ma in quai strani paesi,
in quai piazze remote
non son de ’l gran Fernando
e de ’l gran successor le glorie note?
Magnanima nepote,
che daurei gigli incoronata il crine
sovrogni uman costume
spiegando eterne piume
varchi di gloria ogni mortal confine,
meraviglia non è se ne ’l bel seno,
germe di tanto sangue,
vero valor, vera virtù non langue;
meraviglia non è sEuropa e ’l mondo
sotto limpero tuo si fa giocondo!
Ma tu dal mar profondo
scorgimi, alto monarca, a glaurei tetti
de Toschi regi, ondio
appaghi il bel desìo
e de la cara vista il cor diletti.
NETTUNO
Su larenoso lido
posa ’l bel piè di neve
e vièntene gioconda ovio ti guido.
CORO
Movi, Diva, ’l piè giocondo,
londe e ’l mar lasciato a tergo,
vienne lieta a laureo albergo
dove nacque un sole a ’l mondo:
vivo sol, che daurei lampi
fe beata un tempo Flora,
or di Francia il cielo indora
e feconda i tuoi bei campi;
né pur fa di frond e fiori
fiammeggiar tua riva e derba,
ma deroi ricca e superba
germogliar guerrieri allori.
O felice, o fortunata,
cui tal grazie il ciel destina,
per virtù dalta Regina,
Senna lieta, anzi beata.
Tu del Tebro i vanti oscuri,
di trofei, di spoglie altera;
tu possente, tu guerriera,
Marte fier non temi o curi.
Pioggia più funesta e rossa
non perturba i bei cristalli,
né più darme e di cavalli
porti a ’l mar tributo dossa;
trapassar da ferri crudi
più non miri e cori e petti,
ma di pace almi diletti,
ricche pompe e lieti ludi.
Colma il sen dalto contento,
alma Dea, tra sponde doro,
le bellonde, almo tesoro,
volgi pur de ’l puro argento.
Va pur lieta: il tuo bel corso
mai non turbi o pioggia o nembo;
mille Ninfe e mille in grembo,
mille Amor scherzin su ’l dorso.
Cento e cento inghirlandate
Ninfe e Dee dallor le chiome,
di Maria la gloria e ’l nome
cantin poi su cetre aurate.
De ’l crin doro e de ’l bel viso,
de glangelici sembianti
e de glocchi onesti e santi
non si taccia il lume e ’l riso.
Di beltà ne ’l nobil velo
tanti sparse e lumi e pregi
per vestirne il Re de regi
la più bellalma de ’l cielo.
SENNA
Serenissimi regi, a cui sinchina
di mille palme il nobil Arno altero,
felicissimo suol, chalta Regina
de le bellorme sue stampò primiero,
deh! come avventurosa peregrina
fermo gioconda il piè ne ’l vostro impero.
E laureo albergo ammiro (immensa mole),
fortunato oriente a ’l mio gran sole.
Fulgido sol, che sì possenti e chiari
folgorò di splendor saette e lampi,
che indarno il sen de luminosi acciari
chiuse cinto il mio Re daurati campi;
fulgido sol, chil ciel purghi e rischiari
e il suol fecondi e le bellalme avvampi,
o qual de vaghi rai splendor riserba
questa de gl avi tuoi soglia superba!
O come è vago il ciel, comè sereno,
che de ’l bel lume tuo lasciasti erede;
o di che cari odor ricco il terreno,
che presse il nobil piè, fiorir si vede!
Ma per la bella sposa di Loreno
movete, o miei diletti, a balli il piede:
ragion è ben che di sì chiari amanti
sonorin glimenei con danze e canti.
[Parte II]
AMORE FUGGITIVO
No, madre, no, chio non vo tornar mai;
non vo tuoi vezzi più, non vo tuoi baci:
stracciati pure il crin, piangi, se sai!
No, chio non me ne curo,
sì che più daspe esser vo sordo e duro.
Io, che fra sommi dei
glorioso me n vo per tante prove;
io, che dopo il gran Giove
a nullaltro massido in ciel secondo;
io, che ’l discorde mondo
sotto legge dAmor sì bel rendei;
io, de limmortal face
e de larco signore e de gli strali,
di fiamme armato e dali,
non potrò far di me come a me piace?
Datti, datti pur pace,
sdegnosa madre mia, ch a mio talento
voglio adoprar questarmi,
e vo, come più parmi,
a gli amanti recar gioia e tormento.
Sì tenerello core,
sciocca, la madre mia racchiude in seno,
che di pietà vien meno
sol chun amante impallidir rimiri,
o noda due singulti e due sospiri.
E me, di pietà nudo
e di lagrime ingodo e di martiri,
signor appella dispietato e crudo;
io, chognaspro tormento
cangio in dolce contento,
e per lalme bear lalme martiro,
minfastidisce sì chal fin madiro.
Ed or lungi da lei fuggito sono
per non udir de limportuna lingua
lingiurioso suono.
Folle, cha torto in contro a me saccende,
semplice, e non intende
i segreti damor, madre dAmore,
né scorge larte ondio
so più dognaltro dio far lieto un cuore.
Ma dove mi ricovro e mi nascondo
sì che la madre mia mi cerchi indarno?
Tra le ninfe de lArno
de la più bella in sen chiuder mi voglio,
fin che nel cor de la celeste diva
cotantira sammorzi e tanto orgoglio.
AMORE
Fermate, passeggier, fermate il legno:
Amor son io, con voi venir desio,
se non mavete per compagno a sdegno.
PASSEGGIERO
Sì lungamente a ’l fianco
questaspri ferri ho trascinato, Amore,
che ancor son lasso e stanco,
né vo nuove catene intorno a ’l core.
AMORE
Ma sarai tu sì crudo,
che scacciar possi Amor? Deh, mi raccogli:
che mal può farti un fanciulletto ignudo?
PASSEGGIERO
Spiega, bel pargoletto,
spiega pur lali altrove:
troverai ben, non dubitar, ricetto.
AMORE
Sotto barbaro cielo
avvezzo esser ben dei
che sì duro ti mostri a preghi miei.
Ma qui tardar non voglio
dove già dudir parmi
la voce di Ciprigna a sé chiamarmi.
[Intermezzo]
Comparisce una nuova barca di passeggieri e si salutano come segue:
PASSEGGIERO SECONDO
Deh, se a ’l vostro cammin cortesi venti
spirin fiati secondi,
dove, dove nandate, allegre genti?
PASSEGGIERO PRIMO
Scosso di servitù giogo crudele,
verso le patrie mura
sciolgo lallegre vele:
ivi questaspra e dura
catena onde mavvinse il popol empio
sospender voglio a venerabil tempio.
PASSEGGIERO SECONDO
Chi ti sottrasse a ’l pondo
de duri ferri e libertà ti rese?
Dillo, che rammentar passate offese
esser non puote a ’l cor se non giocondo.
PASSEGGIERO PRIMO
Là dove in riva a ’l mar superba siede
Bona, splendor de lafricane arene,
stretto daspre catene
tra barbari nemici
traea lore infelici.
Non de la dolce mia cara famiglia,
non de diletti amici
speme avea più di rallegrar le ciglia,
ma in quel duro confine,
tra la gente empia e rea,
altro non attendea
che uninfelice e miserabil fine.
Quando affannato e stanco
sovrun nudo terreno
posando un dì lincatenato fianco,
ratto sentii destarmi
da formidabil suon di trombe e darmi.
Non senzalto spavento
sorgo da terra, e sento
di spaventosi gridi
de la terra e de ’l mar sonare i lidi,
e veggio, o vista oscura!
de la cittade infida
grondar di sangue le superbe mura,
e da gl alberi accesi
miste dalti lamenti
volar co ’l fumo a ’l ciel le fiamme ardenti.
Ovunque gli occhi volgo
altro non so veder che sangue e morti:
le donzelle infelici
stracciano il crine incolto,
le spose e genitori
squarciansi il petto e ’l volto
empiendo il ciel di lamentevol voci.
Ma i barbari feroci,
di strali armati e darco,
con ostinata guerra
de loppugnata terra
a ’l popolo fedel chiudeano il varco:
quando su forte rocca
che innalza verso il ciel la fronte altiera
spiegar mirossi a ’l vento
de ’l Tosco Duce la real bandiera,
e cento voci e cento
sudir con lieto grido
sonar di Cosmo e Ferdinando il nome.
Sparso di gielo il cor, dorror le chiome,
fuggon linique genti,
quasi tremanti belve,
a gl erti monti, a le riposte selve:
ma i cavalier toscani,
ricchi di preda e più di gloria altieri,
a ’l rimbombar di trombe alte e canore
a ’l bel regno Toscan drizzan le prore.
Io, di gioia immortal giocondo il petto,
mercé de ’l grande eroe che a lArno impera,
là dove scende a ’l mar placida lEra
porrò libero il pie ne ’l patrio tetto.
PASSEGGIERO SECONDO
Vanne pur lieto a ’l fortunato regno:
ivi scorger potrai di Senna in riva
incoronato il crin di gigli e doro,
non so se donna o diva,
de ’l gran seggio real scudo e sostegno,
ne ’l cui bel grembo accolto
scherzar vedrai quel glorioso Infante
per cui laria tremante
già veggio, o parmi, impallidire il volto.
CORO
Su laffricane [sic] rive
vedove, spose, incatenati e morti
piangan figli e consorti:
ma per laure serene
rimbombi il canto de le tosche cetre.
Vessilli, archi e faretre,
charmar barbaro tergo,
pendon da ’l regio albergo,
né molle piuma ancora
le guance a Cosmo indora.
[Continua la parte seconda]
VENERE
Torna, deh, torna, pargoletto mio,
torna, che senza te son senza core!
Dove tascondi ohimè? che tho fattio
chio non ti veggio e non ti sento, Amore?
Corrimi in braccio omai, spargi doblio
questo chil cuor mi strugge aspro dolore.
Senti de la mia voce il flebil suono
tra pianti e tra sospir chieder perdono.
PROTEO
Bella madre dAmor, che laere e londe
sospirar fai con sì pietosi accenti,
qual ne ’l celeste sen dolor sasconde?
VENERE
Il mio bel pargoletto,
lanima de ’l cor mio, non è più meco!
Pensa da quai martir trafitto ho il petto.
Dira a gran torto acceso,
ratto come un baleno,
mi si tolse di seno.
Né so verso qual parte il volo ha preso.
PROTEO
Mal seguitar potrai
fanciul cha lali e vola,
diva: ma ti consola,
che presto, e ben lo sai,
fa guerra e pace il pargoletto nume.
Già, già per ritornar batte le piume;
già ne ’l bel seno accolto
veggiolo, e veder parmi
di mille baci saettarti il volto.
VENERE
Ma sì lunga dimora
troppo maffligge, ohimè, troppo maccora.
Ma tu, chaperto il vero
mirar da lunge sai, nume presago,
dove vedrò de ’l pargoletto arciero
la sospirata imago?
Forse sottaureo tetto
di gran monarca o duce
per le corti real prende diletto?
PROTEO
O diva, Odio e Rancore
quivi trovar potrai, ma non Amore!
VENERE
Tra lieta giovanezza
forse trapassa lore?
PROTEO
O, che giovanil fiore
Amor non ben conosce, e non apprezza.
VENERE
Forse il vedrò fra la canuta gente?
PROTEO
Né quivi ancor, che de freddanni a ’l gelo
furon le fiamme di sua face spente.
VENERE
Dove, e sotto qual cielo
rivedrò dunque il mio perduto figlio?
PROTEO
Là dove il nobilArno
il sen rinfresca a Flora
felice Amor dimora
di due gran regi assiso
ne ’l magnanimo petto e ne ’l bel viso.
VENERE
E quai son le bellalme
ne ’l cui sen, ne ’l cui volto
stassi il mio ben, stassi il mio figlio accolto?
PROTEO
Magnanima donzella,
pregio dogni beltà, sol di Loreno,
lha ne beglocchi, e ’l nobil duce in seno:
il nobil duce, a cui dInsubria i regi,
se non scettro o corona,
lasciar dimmortal gloria eccelsi fregi.
Ma se pur, comei suole,
non mi sasconde il vero,
scorgo a lantico impero
sorger felice avventurosa prole,
che non festeggia indarno
Roma per sì gran nozze e ’l nobil Arno:
Arno, su le cui sponde
tra giocondi imenei, tra lieti canti,
stassi il bel figlio tuo co regi amanti.
VENERE
Se in così bel soggiorno
posi, bel figlio mio,
non far, non far ritorno,
godi pur lieto: ecco chio vengo anchio.
CORO
Bella dea, di Cipro onore,
va felice, va gioconda
là ove dArno in su la sponda
ride lieto e scherza Amore .
Là vedrai glalti sembianti
de ’l gran Cosmo e Maddalena
folgorar luce serena
che de ’l sol fa scorno a vanti.
Là vedrai due sposi amanti
degual fiamma i cori accesi,
bei desir farsi palesi
or con foco, or con pallore.
Bella dea, di Cipro onore…Là vedrai, qual vaga Aurora
che de ’l sol fregia le strade,
fiammeggiar lalta beltade
de lOrsina Eleonora:
nova dea, chil mondo indora
di virtù, di gentilezza;
bella sì, chomai si sprezza
la beltà di Grecia ardore.
Bella dea, di Cipro onore…
Ne la luce alma e divina
(colmo il sen di meraviglia)
fisserai lavide ciglia
di Lionora e Caterina:
regia prole, a cui sinchina
Febo in ciel e lauree stelle,
men di lor possenti e belle
di virtude e di splendore.
Bella dea, di Cipro onore…
Mirerai duce e guerrieri
festeggiar per lauree sale,
che di gloria alta, immortale
lalme accese hanno e pensieri;
e su ’l dorso a gran destrieri,
con superba e lieta mostra,
fan morendo in finta giostra
scintillar vero valore.
Bella dea, di Cipro onore…
Mille dame, a prova ornate
vedrai doro e perle il seno,
e la sposa di Loreno
quasi un sol tra lor beltate;
e su ’l suon di cetre aurate
sentirai con chiari modi
de ’l Buglion laltere lodi
rimbombar voci canore.
Bella dei, di Cipro onore…
De ’l grandavo, onde risuona
di bel grido il mondo e ’l cielo,
che sprezzò (pietoso zelo)
su ’l Giordan real corona:
sacre ninfe dElicona,
voi di Guisa al gran nipote
deh portate queste note
che mi detta alto furore.
Bella dea, di Cipro onore…
Di Sion a ’l sacro tempio
non fia mai fedel la strada,
sil fulgor de la tua spada
non rimira il popol empio:
tu rinnova il grandesempio,
tu che sol sprezzasti, ardito,
dun pel dor neppur fiorito,
di millaste il fier terrore.
Bella dea, di Cipro onore…