Print Page

Volume 9 (2003) No. 1

Francesca Chiarelli

Before and After: Ottavio Rinuccini’s Mascherate and Their Relationship to the Operatic Libretto

Appendix 4
Rinuccini Texts

1. MASCHERE DI BERGIERE (STANZAS IN OTTAVA RIMA )

Serenissima Donna, il cui gran nome
di mille fregi adorno alto risuona,       
de la cui regia man, de le cui chiome
degno ’l mondo non ha scettro o corona,
stanche et oppresse omai da l’aspre some                                          5
de ’l furibondo Marte e di Bellona,
vaghe di pace e più tranquilla sede
moviam, donzelle peregrine, il piede.

Là ‘ve ’l Rodan alter con rapid’ onde
porta superbo ampio tributo al mare,                                                 10
lasciati i dolci alberghi e le feconde
piagge, mentr’a ’l ciel piacque amate e care,
qui de ’l bell’ Arno a le famose sponde
scorte n’ha ’l sol de le tue luci chiare,
a ’l cui vago sereno, a ’l cui splendore                                                15
speme anco abbiam di serenare il core.

Poi che partiste voi, quel regno tutto
sembra che d’ira e di furore avvampi;
ogni piaggia, ogni colle arso e distrutto,
par che di sangue sol si segni e stampi;                                               20
de le gravi fatiche indarno il frutto
speriam, misere noi, da’ còlti campi,
vedendo ognor da l’inimiche spade    
tronche cader le desiate biade.

Spesso d’orrida tromba a ’l suon nemico                                            25
destasi il vecchierel canuto e bianco,
e sospirando per l’albergo antico
i pargoletti suoi si stringe a ’l fianco:
indi a ’l ciel vòlto: “O glorioso Enrico”,
dice, già mosso il piè languido e stanco,                                              30
“quando sarà che tua virtù rimeni
dopo tante tempeste i dì sereni?

Quando vedrem su l’onorata fronte
splender l’antico onor de’ gigli d’oro?
quando, ahi! quando securo a ’l bosco, a ’l monte                              35
trarran le pastorelle il gregge loro?”
Sì fatto de le luci amaro fonte
sfoga ne ’l duro esilio il gran martoro,
né per men doglia verginelle e spose
bagnan de ’l volto le vermiglie rose.                                                    40

Or s’in questa per voi tranquilla parte,
donna real, tua cortesia n’accoglie,
qui dove regna Amor, qui dove Marte
placido il ferro suo da ’l fianco scioglie,
quasi a tempio divin vedrai recarte,                                                    45
d’incenso in vece e di votive spoglie,
lode e gloria immortal da noi donzelle
che forse un dì sormonterà le stelle.

E voi, gentili amanti, ah! non abbiate
di rustica beltà l’amore a sdegno:                                                        50
tra bassezze talor, tra povertate
sembiante è ben ch’ anco d’amarsi è degno;
vesti per gran lavor ricche e pregiate,
gemma che di valor passi ogni segno,
gloria d’antico sangue, armi e splendori                                              55
esser già non devrian fiamme de’ cuori.

D’amor degna e d’amante è la bellezza
e la pietà ch’ alberga in cor gentile;
folle chi, per seguir pompe e grandezza,
sdegna di povertà bellezza umìle;                                                       60
beltà, che di se stessa adorna, sprezza
fregio d’altronde et ha le gemme a vile,
vera beltà, che semplicetta e pura
ornò di propria man l’alma Natura.

Quinci per rimirarne intento e fiso                                                      65
scorger già non potrete, amanti accorti,
di mentito color dipinto il viso
né falsi crini a ’l crin nativo intorti;
qui non false lusinghe o finto riso
fia che gioia v’annunzi e duol v’apporti:                                               70
de le cittadi usar l’arte e l’inganno
le fanciulle de’ boschi ancor non sanno.

Candido ’l viso abbiam, candido ’l core,
e in bel candido sen candida fede,
né riso o sguardo mai mostrò di fuore                                                 75
contrario affetto a quel che ne ’l cor siede;
appo noi vile è l’oro, amor d’amore
è degno premio sol, degna mercede:
felicissimo amor, contento e pago
d’amor, non d’oro e non d’argento vago.                                           80

Empie e false lusinghe e mai non vere
parolette, e sospir mentiti e pianti,
insidie, inganni, alme crudeli e fere
sotto finti d’amor dolci sembianti,
ingordo affetto e sol desio d’avere,                                                     85
voglie e pensier volubili e incostanti,
amar chi ti port’odio, odiar chi t’ama
ne le città superbe amor si chiama.

Return to reference 8

2. MASCHERATA DEGLI ACCECATI (STANZAS IN ENDACASILLABI AND SETTENARI)

Poscia ch’ogn’altro schermo
fu vano a ’l folgorar de’ rai possenti,
per risanare il cor d’amore infermo,
donne, quest’occhi abbiam di luce spenti;
e ben fu di ragion alto consiglio
per allumar il cor far cieco il ciglio.

Per noi s’increspa in vano
dorata chioma, o si fa d’ostro il viso;
e in van di bel candor leggiadra mano,
e di perle e rubin fa mostra il riso;
serrato è ’l varco, onde ne’ cor mortali
discendevan d’Amor gli accesi strali.

Qual di superbe mura
sprezza cinto guerrier nemica forza,
da gli assalti d’Amor lieta e sicura
l’alma si sta ne l’accecata scorza;
e tolto ’l fren, ch’a duo begl’occhi diede,
tranquilla regna ne l’antica sede.

Se di disdegno e d’ira
fulminan duo begl’occhi armato Amore,
o se tutto pietate un guardo spira,
nova non giunge a ’l cor gioia o dolore;
misero ’l cor, che ‘n mille dubbi involto
cangia suo stato a ’l variar d’un volto.

D’un volto il cui sereno
instabil più che fronda ov’Euro spiri,
or di dolcezza, or di minacce pieno
mesce a ’l falso piacer certi martiri;
e tra speme e timor, tempesta e calma,
ne ’l pelago d’Amor combatte un’alma.

RISPOSTA DE LE GENTILI DONNE A LI ACCECATI.
Trapassar sospirando
doveva, o ciechi amanti, il viver vostro.
Una volta sperando
veder cangiato il crudo pensier nostro,
perché repulse e sdegni
son d’Amor tra gli amanti amati segni.

In van s’adorna il prato, in van risplende
per voi caro monile;
per voi da Batto a Tile
indarno spiega i suoi bei raggi il sole;
Ahi, se di voi pur non n’incresce e duole,
ciechi, dolgavi almeno
lasciar piagato a belle donne il seno.

Or in fiamma, or in ghiaccio
gli incauti amanti hai per noi vòlto, Amore!
Ma per non sciorti da ’l mortale impaccio,
le finestre de ’l core
giammai chiudesti; e pur vedi costoro
ciechi schernire ogni tuo bel tesoro.

Vendetta, Amor, vendetta!
Struggi il nemico gelo
doppiando il foco al core, a gli occhi il velo:
Che quanto li diletta
l’orror, tanto li annoi
come ribelli e non più servi tuoi.

Return to reference 11

3. MASCHERATA DI NINFE DI SENNA (LIBRETTO-TYPE TEXT)

[Parte I]

NETTUNO
Sparso d’umide perle, il crin stillante
scoprite a ’l cielo, o Dive, e i sen nevosi;
sorgete, Numi, e voi de ’l mar sonante
le caverne lasciate e gl’antri algosi.
De ’l gran padre Ocean gl’imperi e i detti
udite, o Numi, ad obbedire intenti;
Onde tacete, e da’ gonfiati petti
non esca oggi un sospir, superbi Venti.
L’inclita Ninfa, a ’l cui bel crin corona
tesse di gigli e d’auro ampio tesoro,
cui non inchina pur Rodano e Sona,
ma il Nilo, il Gange ed ei che letto ha d’oro,
Senna real, che di trofei le sponde
ricca se ‘n va più che di frondi o d’erba,
oggi di questo mar fenderà l’onde
su rote di zaffir bella e superba.
Scorgela bel desio ch’in sen le nacque
di mirar queste piagge e questo cielo,
dove a l’alto Motor ne l’alto piacque
angel mandar tra noi sott’uman velo.
Ben può tal dirsi lei, ch’a’ Franchi il freno
tempra, regina eccelsa, e ’l mondo indora,
che i pargoletti lumi al dì sereno
aperse tra le fasce in grembo a Flora.
La regia cuna, ove a l’altera infante
i sonni lusingar le Muse stesse,
baciar desira, e il suol che di sue piante
serba felice le prim’orme impresse.
Mentre a ’l caro desio trascorre intenta
Senna l’umide vie de ’l regno ondoso,
di vostre voci un suon sì nobil senta
che le sembri il camin dolce riposo.

NETTUNO
O chiara, o nobil figlia,
splendor de’ regi fiumi,
deh! come lieto i lumi
fermo ne ’l gran sembiante e ne le ciglia.
Mira de l’Ocean l’ampia famiglia,
odi l’applauso e ’l grido
che ’l mar rimbomba e ’l lido,
mira l’onda e l’arena
a ’l tuo lieto apparir rider serena.

SENNA
A te, gran Re de l’onde,
umil m’inchino, e poi
de ’l nobil Arno a le famose sponde
me ‘n vado a riverir gl’Etruschi eroi.

NETTUNO
S’a’ miei desir non vuoi negar mercede,
guiderò i passi tuoi,
scorta non vil, fin che là posi il piede
ove il gran Re di Flora
lieto dimora in gloriosa sede.

SENNA
Troppo, o gran Re, m’onori,
né il merto mio cotanto in alto arriva
che fuor de ’l regno tuo per me dimori.

NETTUNO
Sì chiare, o nobil Diva,
son le tue glorie e i pregi,
mercé de’ tuoi gran regi,
che di lauro e d’oliva  
son vili a ’l tuo bel crin ghirlande e fregi:
ed io, che sovra l’onde ho scettro e regno,
a te m’atterro, e d’ubbidir non sdegno.

SENNA
Non fia ch’a ’l Re de l’onde
serva devota imperi.
Ma chi su queste sponde
alzò gl’argini alteri,
chi di sì forti mura
fe’ la città sicura?
e chi cotanti armò legni guerrieri?

NETTUNO
Magnanimi pensieri,
pregi de ’l gran Fernando,
d’eterno onor, d’eterna gloria alteri
son questi che rimiri:
né indarno, Senna, le grand’ opre ammiri.

SENNA
O sol de’ grandi eroi,
meraviglia non è s’alto rimbomba
con risonante tromba
fama immortal di Ferdinando il nome,
e s’a ’l canoro grido
l’empio Oriente infido
sparge di gelo il cor, d’orror le chiome.

NETTUNO
Se pave l’Oriente
certo non pave indarno.
Sì spesso rimirò ne ’l cor dolente
ne’ suoi campi ondeggiar l’insegne d’Arno.
E depredati i regni
da’ gloriosi legni.

SENNA
Ben fûro a noi palesi
gli eccelsi allori e le sì chiare palme,
e le più nobil’alme
punger di bella invidia e i cor franzesi:
ma in quai strani paesi,
in quai piazze remote
non son de ’l gran Fernando
e de ’l gran successor le glorie note?
Magnanima nepote,
che d’aurei gigli incoronata il crine
sovr’ogni uman costume
spiegando eterne piume
varchi di gloria ogni mortal confine,
meraviglia non è se ne ’l bel seno,
germe di tanto sangue,
vero valor, vera virtù non langue;
meraviglia non è s’Europa e ’l mondo
sotto l’impero tuo si fa giocondo!
Ma tu dal mar profondo
scorgimi, alto monarca, a gl’aurei tetti
de’ Toschi regi, ond’io
appaghi il bel desìo
e de la cara vista il cor diletti.

NETTUNO
Su l’arenoso lido
posa ’l bel piè di neve
e vièntene gioconda ov’io ti guido.

CORO
Movi, Diva, ’l piè giocondo,
l’onde e ’l mar lasciato a tergo,
vienne lieta a l’aureo albergo
dove nacque un sole a ’l mondo:
vivo sol, che d’aurei lampi
fe’ beata un tempo Flora,
or di Francia il cielo indora
e feconda i tuoi bei campi;
né pur fa di frond’ e fiori
fiammeggiar tua riva e d’erba,
ma d’eroi ricca e superba
germogliar guerrieri allori.
O felice, o fortunata,
cui tal grazie il ciel destina,
per virtù d’alta Regina,
Senna lieta, anzi beata.
Tu del Tebro i vanti oscuri,
di trofei, di spoglie altera;
tu possente, tu guerriera,
Marte fier non temi o curi.
Pioggia più funesta e rossa
non perturba i bei cristalli,
né più d’arme e di cavalli
porti a ’l mar tributo d’ossa;
trapassar da ferri crudi
più non miri e cori e petti,
ma di pace almi diletti,
ricche pompe e lieti ludi.
Colma il sen d’alto contento,
alma Dea, tra sponde d’oro,
le bell’onde, almo tesoro,
volgi pur de ’l puro argento.
Va’ pur lieta: il tuo bel corso
mai non turbi o pioggia o nembo;
mille Ninfe e mille in grembo,
mille Amor scherzin su ’l dorso.
Cento e cento inghirlandate
Ninfe e Dee d’allor le chiome,
di Maria la gloria e ’l nome
cantin poi su cetre aurate.
De ’l crin d’oro e de ’l bel viso,
de gl’angelici sembianti
e de gl’occhi onesti e santi
non si taccia il lume e ’l riso.
Di beltà ne ’l nobil velo
tanti sparse e lumi e pregi
per vestirne il Re de’ regi
la più bell’alma de ’l cielo.

SENNA 
Serenissimi regi, a cui s’inchina
di mille palme il nobil Arno altero,
felicissimo suol, ch’alta Regina
de le bell’orme sue stampò primiero,
deh! come avventurosa peregrina
fermo gioconda il piè ne ’l vostro impero.
E l’aureo albergo ammiro (immensa mole),
fortunato oriente a ’l mio gran sole.
Fulgido sol, che sì possenti e chiari
folgorò di splendor saette e lampi,
che indarno il sen de’ luminosi acciari
chiuse cinto il mio Re d’aurati campi;
fulgido sol, ch’il ciel purghi e rischiari
e il suol fecondi e le bell’alme avvampi,
o qual de’ vaghi rai splendor riserba
questa de gl’ avi tuoi soglia superba!
O come è vago il ciel, com’è sereno,
che de ’l bel lume tuo lasciasti erede;
o di che cari odor ricco il terreno,
che presse il nobil piè, fiorir si vede!
Ma per la bella sposa di Loreno
movete, o miei diletti, a’ balli il piede:
ragion è ben che di sì chiari amanti
s’onorin gl’imenei con danze e canti.

[Parte II]

AMORE FUGGITIVO
No, madre, no, ch’io non vo’ tornar mai;
non vo’ tuoi vezzi più, non vo’ tuoi baci:
stracciati pure il crin, piangi, se sai!
No, ch’io non me ne curo,
sì che più d’aspe esser vo’ sordo e duro.
Io, che fra sommi dei
glorioso me ‘n vo’ per tante prove;
io, che dopo il gran Giove
a null’altro m’assido in ciel secondo;
io, che ’l discorde mondo
sotto legge d’Amor sì bel rendei;
io, de l’immortal face
e de l’arco signore e de gli strali,
di fiamme armato e d’ali,
non potrò far di me come a me piace?
Datti, datti pur pace,
sdegnosa madre mia, ch’ a mio talento
voglio adoprar quest’armi,
e vo’, come più parmi,
a gli amanti recar gioia e tormento.
Sì tenerello core,
sciocca, la madre mia racchiude in seno,
che di pietà vien meno
sol ch’un amante impallidir rimiri,
o n’oda due singulti e due sospiri.
E me, di pietà nudo
e di lagrime ingodo e di martiri,
signor appella dispietato e crudo;
io, ch’ogn’aspro tormento
cangio in dolce contento,
e per l’alme bear l’alme martiro,
m’infastidisce sì ch’al fin m’adiro.
Ed or lungi da lei fuggito sono
per non udir de l’importuna lingua
l’ingiurioso suono.
Folle, ch’a torto in contro a me s’accende,
semplice, e non intende
i segreti d’amor, madre d’Amore,
né scorge l’arte ond’io
so più d’ogn’altro dio far lieto un cuore.
Ma dove mi ricovro e mi nascondo
sì che la madre mia mi cerchi indarno?
Tra le ninfe de l’Arno
de la più bella in sen chiuder mi voglio,
fin che nel cor de la celeste diva
cotant’ira s’ammorzi e tanto orgoglio.

AMORE
Fermate, passeggier, fermate il legno:
Amor son io, con voi venir desio,
se non m’avete per compagno a sdegno.

PASSEGGIERO
Sì lungamente a ’l fianco
quest’aspri ferri ho trascinato, Amore,
che ancor son lasso e stanco,
né vo’ nuove catene intorno a ’l core.

AMORE
Ma sarai tu sì crudo,
che scacciar possi Amor? Deh, mi raccogli:
che mal può farti un fanciulletto ignudo?

PASSEGGIERO
Spiega, bel pargoletto,
spiega pur l’ali altrove:
troverai ben, non dubitar, ricetto.

AMORE
Sotto barbaro cielo
avvezzo esser ben dei
che sì duro ti mostri a’ preghi miei.
Ma qui tardar non voglio
dove già d’udir parmi
la voce di Ciprigna a sé chiamarmi.

[Intermezzo]

Comparisce una nuova barca di passeggieri e si salutano come segue:

PASSEGGIERO SECONDO
Deh, se a ’l vostro cammin cortesi venti
spirin fiati secondi,
dove, dove n’andate, allegre genti?

PASSEGGIERO PRIMO
Scosso di servitù giogo crudele,
verso le patrie mura
sciolgo l’allegre vele:
ivi quest’aspra e dura
catena onde m’avvinse il popol empio
sospender voglio a venerabil tempio.

PASSEGGIERO SECONDO
Chi ti sottrasse a ’l pondo
de’ duri ferri e libertà ti rese?
Dillo, che rammentar passate offese
esser non puote a ’l cor se non giocondo.

PASSEGGIERO PRIMO
Là dove in riva a ’l mar superba siede
Bona, splendor de l’africane arene,
stretto d’aspre catene
tra barbari nemici
traea l’ore infelici.
Non de la dolce mia cara famiglia,
non de’ diletti amici
speme avea più di rallegrar le ciglia,
ma in quel duro confine,
tra la gente empia e rea,
altro non attendea
che un’infelice e miserabil fine.
Quando affannato e stanco
sovr’un nudo terreno
posando un dì l’incatenato fianco,
ratto sentii destarmi
da formidabil suon di trombe e d’armi.
Non senz’alto spavento
sorgo da terra, e sento
di spaventosi gridi
de la terra e de ’l mar sonare i lidi,
e veggio, o vista oscura!
de la cittade infida
grondar di sangue le superbe mura,
e da gl’ alberi accesi
miste d’alti lamenti
volar co ’l fumo a ’l ciel le fiamme ardenti.
Ovunque gli occhi volgo
altro non so veder che sangue e morti:
le donzelle infelici
stracciano il crine incolto,
le spose e’ genitori
squarciansi il petto e ’l volto
empiendo il ciel di lamentevol voci.
Ma i barbari feroci,
di strali armati e d’arco,
con ostinata guerra
de l’oppugnata terra
a ’l popolo fedel chiudeano il varco:
quando su forte rocca
che innalza verso il ciel la fronte altiera
spiegar mirossi a ’l vento
de ’l Tosco Duce la real bandiera,
e cento voci e cento
s’udir con lieto grido
sonar di Cosmo e Ferdinando il nome.
Sparso di gielo il cor, d’orror le chiome,
fuggon l’inique genti,
quasi tremanti belve,
a gl’ erti monti, a le riposte selve:
ma i cavalier toscani,
ricchi di preda e più di gloria altieri,
a ’l rimbombar di trombe alte e canore
a ’l bel regno Toscan drizzan le prore.
Io, di gioia immortal giocondo il petto,
mercé de ’l grande eroe che a l’Arno impera,
là dove scende a ’l mar placida l’Era
porrò libero il pie’ ne ’l patrio tetto.

PASSEGGIERO SECONDO
Vanne pur lieto a ’l fortunato regno:
ivi scorger potrai di Senna in riva
incoronato il crin di gigli e d’oro,
non so se donna o diva,
de ’l gran seggio real scudo e sostegno,
ne ’l cui bel grembo accolto
scherzar vedrai quel glorioso Infante
per cui l’aria tremante
già veggio, o parmi, impallidire il volto.

CORO
Su l’affricane [sic] rive
vedove, spose, incatenati e morti
piangan figli e consorti:
ma per l’aure serene
rimbombi il canto de le tosche cetre.
Vessilli, archi e faretre,
ch’armar barbaro tergo,
pendon da ’l regio albergo,
né molle piuma ancora
le guance a Cosmo indora.
[Continua la parte seconda]

VENERE
Torna, deh, torna, pargoletto mio,
torna, che senza te son senza core!
Dove t’ascondi ohimè? che t’ho fatt’io
ch’io non ti veggio e non ti sento, Amore?
Corrimi in braccio omai, spargi d’oblio
questo ch’il cuor mi strugge aspro dolore.
Senti de la mia voce il flebil suono
tra pianti e tra sospir chieder perdono.

PROTEO
Bella madre d’Amor, che l’aere e l’onde
sospirar fai con sì pietosi accenti,
qual ne ’l celeste sen dolor s’asconde?

VENERE
Il mio bel pargoletto,
l’anima de ’l cor mio, non è più meco!
Pensa da quai martir trafitto ho il petto.
D’ira a gran torto acceso,
ratto come un baleno,
mi si tolse di seno.
Né so verso qual parte il volo ha preso.

PROTEO
Mal seguitar potrai
fanciul c’ha l’ali e vola,
diva: ma ti consola,
che presto, e ben lo sai,
fa guerra e pace il pargoletto nume.
Già, già per ritornar batte le piume;
già ne ’l bel seno accolto
veggiolo, e veder parmi
di mille baci saettarti il volto.

VENERE
Ma sì lunga dimora
troppo m’affligge, ohimè, troppo m’accora.
Ma tu, ch’aperto il vero
mirar da lunge sai, nume presago,
dove vedrò de ’l pargoletto arciero
la sospirata imago?
Forse sott’aureo tetto
di gran monarca o duce
per le corti real prende diletto?

PROTEO
O diva, Odio e Rancore
quivi trovar potrai, ma non Amore!

VENERE
Tra lieta giovanezza
forse trapassa l’ore?

PROTEO
O, che giovanil fiore
Amor non ben conosce, e non apprezza.

VENERE
Forse il vedrò fra la canuta gente?

PROTEO
Né quivi ancor, che de’ fredd’anni a ’l gelo
furon le fiamme di sua face spente.

VENERE
Dove, e sotto qual cielo
rivedrò dunque il mio perduto figlio?

PROTEO
Là dove il nobil’Arno
il sen rinfresca a Flora
felice Amor dimora
di due gran regi assiso
ne ’l magnanimo petto e ne ’l bel viso.

VENERE
E quai son le bell’alme
ne ’l cui sen, ne ’l cui volto
stassi il mio ben, stassi il mio figlio accolto?

PROTEO
Magnanima donzella,
pregio d’ogni beltà, sol di Loreno,
l’ha ne’ begl’occhi, e ’l nobil duce in seno:
il nobil duce, a cui d’Insubria i regi,
se non scettro o corona,
lasciar d’immortal gloria eccelsi fregi.
Ma se pur, com’ei suole,
non mi s’asconde il vero,
scorgo a l’antico impero
sorger felice avventurosa prole,
che non festeggia indarno
Roma per sì gran nozze e ’l nobil Arno:
Arno, su le cui sponde
tra giocondi imenei, tra lieti canti,
stassi il bel figlio tuo co’ regi amanti.

VENERE
Se in così bel soggiorno
posi, bel figlio mio,
non far, non far ritorno,
godi pur lieto: ecco ch’io vengo anch’io.

CORO
Bella dea, di Cipro onore,
va’ felice, va’ gioconda
là ove d’Arno in su la sponda
ride lieto e scherza Amore .
Là vedrai gl’alti sembianti
de ’l gran Cosmo e Maddalena
folgorar luce serena
che de ’l sol fa scorno a’ vanti.
Là vedrai due sposi amanti
d’egual fiamma i cori accesi,
bei desir farsi palesi
or con foco, or con pallore.
Bella dea, di Cipro onore…Là vedrai, qual vaga Aurora
che de ’l sol fregia le strade,
fiammeggiar l’alta beltade
de l’Orsina Eleonora:
nova dea, ch’il mondo indora
di virtù, di gentilezza;
bella sì, ch’omai si sprezza
la beltà di Grecia ardore.
Bella dea, di Cipro onore…
Ne la luce alma e divina
(colmo il sen di meraviglia)
fisserai l’avide ciglia
di Lionora e Caterina:
regia prole, a cui s’inchina
Febo in ciel e l’auree stelle,
men di lor possenti e belle
di virtude e di splendore.
Bella dea, di Cipro onore…
Mirerai duce e guerrieri
festeggiar per l’auree sale,
che di gloria alta, immortale
l’alme accese hanno e’ pensieri;
e su ’l dorso a’ gran destrieri,
con superba e lieta mostra,
fan morendo in finta giostra
scintillar vero valore.
Bella dea, di Cipro onore…
Mille dame, a prova ornate
vedrai d’oro e perle il seno,
e la sposa di Loreno
quasi un sol tra lor beltate;
e su ’l suon di cetre aurate
sentirai con chiari modi
de ’l Buglion l’altere lodi
rimbombar voci canore.
Bella dei, di Cipro onore…
De ’l grand’avo, onde risuona
di bel grido il mondo e ’l cielo,
che sprezzò (pietoso zelo)
su ’l Giordan real corona:
sacre ninfe d’Elicona,
voi di Guisa al gran nipote
deh portate queste note
che mi detta alto furore.
Bella dea, di Cipro onore…
Di Sion a ’l sacro tempio
non fia mai fedel la strada,
s’il fulgor de la tua spada
non rimira il popol empio:
tu rinnova il grand’esempio,
tu che sol sprezzasti, ardito,
d’un pel d’or neppur fiorito,
di mill’aste il fier terrore.
Bella dea, di Cipro onore…

Return to reference 14